Il punto è partire dalla persona. Si devono sicuramente imparare le tecniche, fare i percorsi formativi su varie tematiche, dall’aspetto igienico-sanitario a quello psicologico, a quello clowneristico, perché questo ci serve per essere dottor-clown, ma la cosa più importante è non partire da un proprio progetto che si ha in testa o dalle tecniche che si devono applicare, ma guardare alla realtà che si ha davanti! Questo suggerisce anche il metodo, la tipologia d’intervento da usare. Il punto è entrare in contatto, in rapporto con chi ti sta di fronte.

La modalità scelta per realizzare questo obbiettivo è quella della cosiddetta “comico-terapia” o “clown-terapia”, svolta dai propri dottor-clown, volontari e professionisti, formati accuratamente, per intervenire in modo consapevole nei reparti ospedalieri.

Ogni intervento tiene conto del soggetto che si ha davanti ed è adattato alla necessità concreta del momento e alla persona che si ha di fronte, con i suoi bisogni, i suoi stati d’animo, le sue attese, la sua stanchezza, come pure  il suo desiderio di novità, di movimento, di stare meglio.

Il ridere, il gioco, la musica, l’improvvisazione, la magia, il coinvolgimento, tutto serve per comunicare alla persona che si è lì per lei, perché lei vale.

Accade talvolta che il dottor-clown stia in silenzio, ascolti, condivida la commozione, in silenzio insieme alla persona che soffre, e questo silenzio  non è assenza di qualcosa, ma è pieno di empatia.

L’accoglienza e la condivisione della sofferenza si manifestano in tale momento in questo modo: non è una sconfitta della terapia del sorriso, anzi è un modo ulteriore per condividere la sofferenza.